Lavorando a Roma, quando ritorno in Sicilia, il tempo che mi rimane è davvero poco, considerato il fatto che sia Pepe, il mio intelligentissimo cane, che Villa Spaccaforno chiedono di avere restituite le attenzioni che non ho loro prestato nei giorni della mia assenza.
Tuttavia, a metà Ottobre, in una di quelle giornate tiepide e luminosissime che ci regala l’autunno, ho chiesto a mia figlia Venera di accompagnarmi in una passeggiata; più che una passeggiata un ritorna alla memoria, fatto assieme, per trasmettere a Lei i miei ricordi e i ricordi di chi avevo avuto la fortuna di ascoltare parlando delle tonnare; come dice Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Dopo aver raggiunto Vendicari e attraversato l’oasi sulle pedane predisposte dalla forestale, “da bambino, questo tratto di strada, si faceva a piedi attraversando la salina, spesso immergendosi fino alle ginocchia nell’acqua salmastra e cristallina”, arrivammo alla casa “ro salinaru” (ne rimane un rudere senza tetto al centro della salina) dove abitava il salinaro che accudiva alla produzione del sale necessario alla tonnara.
La tonnara situata in un angolo del grande golfo, era della famiglia dei cugini Modica di San Giovanni , forse mia nonna paterna, Annetta Modica Nicolaci ne aveva addirittura qualche essimo, tanto che da bambino, nelle annate di pesca abbondante arrivavano a casa più di un barile di tonno sotto sale, che, per quanto fossimo numerosi, veniva puntualmente regalato a vicini ed amici.
La tonnara di Vendicari sorgeva su un sito antichissimo del quale si possono ancora vedere le tracce delle vasche per la fermentazione del pesce usato dai romani per preparare il loro squisito garum.
Di fronte alla tonnara la piccola isola di Bafuto con un rudere, oramai quasi scomparso, che era la casa del Raîs, mentre durante la pesca del tonno, quindi da fine Maggio a tutto Agosto, sull’isolotto veniva realizzata una grande casa in legno che costituiva l’abitazione del proprietario, cioè dello zio Nino e della zia Carlotta, sorella della nonna Annetta.
Mi racconta mio cugino Peppino Modica che, quando arrivava suo nonno, i marinai per l’occasione vestivano tutti di bianco e in segno di saluto alzavano verso il cielo i remi della muciara.
Qualche chilometro di ottima strada e lasciata Vendicari eccoci a Marzamemi.
La più grande tonnara di ritorno dell’Italia meridionale secondo un’indagine del Ministero della Marina Mercantile del Regno, dell’anno 1887.
Marzamemi, incantata, ha resistito al fortunale del 1974, data dalla quale la tonnara non venne più calata. Marzamemi, adesso restaurata, elegante e desiderato luogo di villeggiatura, fino a qualche anno fa intatto borgo settecentesco, dove la pesca del tonno aveva rappresentato per secoli l’unica attività produttiva per tutta la sua popolazione.
Marzamemi, nel cui palazzo signorile, che accoglieva i proprietari durate l’attività della pesca della tonnara, il suo ultimo Presidente, Corrado Nicolaci Principe di Villadorata, negli anni della sua gioventù organizzava splendide feste sul grande terrazzo.
Marzamemi, che con la scomparsa del Professore Emilio Sessa, Razionale della tonnara da sempre, magro, sempre in ordine, furbissimo e molto capace ha perso la memoria di quasi cento anni di attività.
Un pomeriggio d’estate, seduto accanto a me, nel terrazzo della mia casetta sul mare, gli chiesi: “Professore come mai quella casa non appartiene più alle unità in proprietà della tonnara?”, la risposta nel suo tono di voce pacato e cortese non si fece attendere. “ Deve sapere, barone, che agli inizi dello scorso secolo il Presidente di allora della tonnara, il Signor barone Ottavio Nicolaci di Villadorata, si innamorò di una donna del luogo che tutti chiamavano “Cuncittina a iaddinara” per via del fatto che teneva un pollaio a ridosso della loggia degli scieri, pur non essendo l’unico proprietario, dispose che Concettina vivesse in quella casa, l’usucapione ed il tempo hanno fatto il resto”,
Marzamemi che ancora conserva, non più nella loggia, i suoi due grandi scieri, imbarcazioni lunghe 23 metri e larghe 5 in attesa che qualche mano pietosa si decida a rimetterli in sesto magari per tagliare le onde di sempre piuttosto che con a bordo i marinai, pronti ad arpionare i tonni per poi tirarli su, con turisti curiosi di conoscere questa arte della pesca tanto antica da potersi considerare atavica.
La strada per Portopalo di Capo Passero è ampia ed in alcuni tratti costeggia il mare, in altri se ne allontana di poche decine di metri, consentendo di ammirare ancora meglio questo splendido tratto di Ionio.
“Vedi Venera io in questi posti ci sono nato, eppure rimango sempre folgorato dalla bellezza straordinaria di queste spiagge, penso che vivrei davvero male se di tanto in tanto non potessi immergermi nella loro bellezza, sarebbe come se mi venisse meno l’aria da respi rare.”
Arriviamo al curvone, di sotto a strapiombo il mare verde smeraldo e cristallino, subito dopo, l’ingresso della tonnara di Capo Passero.
Il cuore mi si stringe, anche Venera ha un sussulto di tristezza. ” Papà ma quando era vivo Pietro non erano ridotte così”. E’ proprio vero quando era vivo Pietro non erano ridotte così.
Pietro Bruno di Belmonte era un mio cugino, un grande signore, deceduto qualche anno fa, che aveva deciso di vivere gli ultimi anni della sua vita giù alla tonnara che Lui amava sopra ogni cosa, era la sua vita, scandiva la sua esistenza.
Ogni cinque anni calava la tonnara per non perdere il diritto di pesca, ma questo gesto si tramutava, quasi sempre, in una importante perdita economica.
Si chiamava Pietro come il nonno che, sul principio dello scorso secolo, fu tra i personaggi siciliani più lucidi e capaci del tempo.
Iniziò la sua esperienza con la tonnara di Marzamemi, per via della moglie, zia Giovanna Modica Nicolaci sorella maggiore di nove fratelli, di cui la più piccola era mia nonna Annetta.
Passò a Capo Passero dietro l’insistenza di un vecchio Rais che lo convinse a calare tonnara di fronte all’isola.
Da allora fu un susseguirsi di successi che lo portarono, addirittura, a commissionare al famosissimo Architetto Ernesto Basile il progetto del suo palazzo di Ispica, oggi tra le sedi più belle e prestigiose dei comuni di Sicilia,
La tonnara divenne una vera e propria industria che portò zio Pepè, così veniva chiamato in famiglia, ad entrare in contatto con i più grossi industriali di pescato dell’epoca.
Il castello che sta accanto alla tonnara, oggi denominato Tafuri, venne realizzato intorno agli anni venti ,da Franzo , uno dei cinque figli di zio Pepè, poiché essendo stati ospitati dalla famiglia Doria di Genova, ed avendo questi espresso il desiderio di ricambiare la visita, non avendo la tonnara ambienti idonei all’occorrenza, pensò di utilizzare i pescatori di Capo Passero come muratori e manovali facendo erigere in pochissimo tempo questo simpatico castello,
| fatti poi, come sempre,andarono diversamente: il castello non fu ultimato al suo intemo, i Doria non vennero e Luigi, nipote di Franzo, negli anni 60 vendette il castello al farmacista Tafuri di Pachino.
Però tornava sempre alla sua tonnara. Un giorno mi confessò: “Sai in estate è magnifico vivere in tonnara. Il tempo bellissimo, i bagni, gli infiniti amici che mi vengono a trovare; in inverno devo dirti ,invece, che provo una tristezza insuperabile, solo, circondato dai domestici è davvero dura, ma non posso, non posso proprio lasciarla per andare a vivere più comodamente nel palazzo di Ispica”. Pensando a queste parole mi sembra proprio che la tonnara senza di Lui sì sia lasciata andare come fa l’amata quando il suo amato vola via.
Saluto la tonnara come si saluta un Signore con grande rispetto, come si saluta un Signore malconcio che però ha avuto una storia nobile e importante.
Facciamo il corso di PortoPalo di Capo Passero . E’ pomeriggio, la gente, i giovani soprattutto, iniziano la passeggiata “lo struscio”.
Arriviamo al porto che mostra come trofei le barche sequestrate ai trasportatori di tanti, meno fortunati di noi, che raggiungono le nostre coste con tanta speranza nel cuore ed il terrore negli occhi.
Questi luoghi agli inizi del secolo scorso ospitavano la tonnara di Portopalo, tonnara anche questa antichissima, sul finire del diciottesimo secolo di proprietà della famiglia Grimaldi che la abbandonò per via delle fortissime mareggiate che arrivavano a portare via tutte le attrezzature, reti comprese.
Visti i successi dello zio Pepè e le insistenze di mia nonna Annetta, anche mio nonno Franzo si lanciò in questa che, per Lui, rappresentò davvero un’autentica avventura. Mio padre Saverio, aveva appena sedici anni, e appena rientrato dal Pennisi, fu immediatamente destinato a sopraintendere la tonnara di Portopalo.
Non c’erano grandi alloggi e Lui dormiva in una stanza accanto a quella del Rais. La mattina bisognava alzarsi prestissimo, perché prestissimo iniziavano le attività; il Rais dopo aver provato a svegliare senza molto successo il giovanissimo Saverio alla fine avanzò un proposta “signorino, Le dispiace se Le lego una cordicella alla caviglia , così la mattina alle quattro io tiro la cordicella e Voi vi dovete svegliare per forza ?”. Saverio, sempre responsabile, accettò e da quel momento quella fu la sua sveglia.
Ci furono a Portopalo annate favorevolissime con abbondante pesca di tonni, a volte grossi fino a 400 kilogrammi, ma poi, un anno, un furibondo temporale portò via tutto ma proprio tutto.
Armare una tonnara era cosa complessa ed anche estremamente costosa; don Franzo decise che comunque bisognava continuare e così fu fatto.
Un anno di tregua poi un altro fortunale, una altra volta le reti, le barche, la attrezzature portate via. Evidente che le forze venivano a mancare per armare ancora una volta la tonnara, ma questa è un’altra storia che non ha nulla a che vedere con il tonno.
Si era fatto pomeriggio inoltrato, Venera aveva avuto la pazienza di ascoltarmi tutto il giorno, forse era stanca, ma come di sua abitudine, non lo dava a vedere.
Ci avviammo verso Villa Spaccaforno. La sera mi aspettava una cena con amici e l’indomani alle 9 il volo per Fiumicino.

Franzo Bruno Statella dei Marchesi di Spaccaforno